INTERVISTA A MATTEO GIUNTINI
di Vera Canevazzi e Caterina Frulloni
1) Dove vivi, dove hai vissuto e dove vorresti vivere?
Sono nato a Livorno, attraverso il lavoro mi muovo in lungo ed in largo, per un periodo ho vissuto a Londra. In questo momento vivo tra Roma e Livorno dove ho i miei due studi. Mi piace questa realtà nomade del mio vivere, mi fa apprezzare le cose nuove e mi scalda nei rientri a casa. Al momento non saprei dove vorrei vivere in futuro, programmo poco la mia vita, sono molto istintivo.
2) Quanto è cambiata negli anni la tua produzione artistica? Ci sono stati eventi significativi che ti hanno portato a un cambiamento di poetica ed espressione?
Agli arbori mi dedicavo alla pittura più pop, più vicina allo stile del fumetto, con bordature nere molto marcate, ma era un discorso acerbo, dove stavo ancora cercando di capire la mia direzione. Nel corso degli anni ho cominciato a lavorare con gallerie e piano piano la mia strada si è sempre più delineata, poi con una maggiore maturazione ho iniziato a concentrarmi su tematiche che mi interessavano davvero come l’uomo in quanto natura e le sue sfaccettature grottesche e maldestre. Spesso i miei racconti nascono da un pezzo letto, da una canzone ascoltata. Anche io essendo uomo, animale e natura mi rifletto nel mondo esterno.
3) Da dove nascono le tue opere?
La genesi di un dipinto può derivare da una parola che può sembrare anche futile, però per me diventa un aggancio e comincio a lavorarci sopra, fino ad arrivare a piccole storie dell’assurdo, dove la logica interna è irrazionale. Anni fa nella mia produzione la parola era più presente, in giochi di parole in cui scambiavo consonanti o invertivo lettere per crearne di nuove. In seguito però ho iniziato a inserire le parole in modo puramente casuale. Ora invece le scritte che si leggono sulle opere servono a depistare colui che le guarda: è una riflessione che mette in gioco anche il pensiero creativo del fruitore. Io comunque parto sempre dall’immagine, ma lavoro per stratificazioni e sovrapposizioni: la parola è un momento di riflessione all’interno del lavoro.
4) Quali sono i tuoi testi critici di riferimento?
In questo periodo Verde Brillante di Stefano Mancuso, scienziato di prestigio mondiale e professore di neurobiologia vegetale all’università di Firenze. Un testo che parla di intelligenza e sensibilità del mondo vegetale, dove le piante come gli altri esseri viventi hanno personalità, possiedono i cinque sensi come noi, si scambiano informazioni e interagiscono con gli animali. Pazzesco.
5) Quali sono i tuoi artisti di riferimento (ieri e oggi)?
Di ieri sicuramente tutta la scena americana degli anni 70/80, al momento Antonio Ligabue e Julian Schnabel, due artisti agli antipodi l’uno dall’altro ma nel loro immaginario ritrovo il mio.
6) Quale è il tuo genere musicale d’apparenza?
Vengo dal punk rock come musicista e ascoltatore anche se oggi non lo ascolto più così avidamente come prima.
7) Sei un musicista?
Dal 1994 al 2004 ho suonato in una band, facevamo punk rock, in quegli anni la scena punk era molto forte in Italia e noi ne facevamo parte, per la maggiore suonavamo nei centri sociali, quelli belli, quelli veri, per citarne due a caso Leoncavallo di Milano e Forte Prenestino di Roma. Ci chiamavamo Deh Pills, non eravamo dei bravi musicisti singolarmente ma insieme creavamo qualcosa di molto orecchiabile e credibile.
8) Che musica ascolti quando dipingi?
La musica per me è fondamentale, sceglierla è la prima cosa che faccio in studio. La uso come ingrediente, per esempio per fare Zizzania al MACRO ho ascoltato esclusivamente l’ultimo album di Vinicio Capossela, che mi ha dato molte idee su come rappresentare il lavoro. Adesso invece sto ascoltando tantissimo rap anni ‘90 e metto jazz per i ritocchi. Gli stimoli che ricevo a livello sonoro, in generale, sono sempre fondamentali nella loro metamorfosi in traccia.
9) Dove e come lavori? Hai bisogno di determinate condizioni per entrare nel processo creativo?
Quando dipingo ho bisogno di stare da solo. Mi serve sempre un periodo di due o tre giorni per mettere tutto a posto dopo la confusione di una produzione.
10) Nella fase creativa, quanto agisci di istinto e quanto sei progettuale?
30% di progettualità e 70% di istinto. Disegno poco con matita o penna, lavoro subito con il colore, e spesso un gesto o una macchia mi dà un’idea per proseguire il racconto, è una reazione a catena.
11) Quanto sono importanti i condizionamenti esterni nella creazione di un’opera (per esempio la percezione del pubblico o lo spazio in cui si trovano i lavori)?
Io penso sempre ogni progetto come corale, come un tutto unitario in base anche allo spazio, alla luce che ci sarà o alla location. Se devo lavorare con altri artisti non mi piace la competizione, ma cerco sempre un dialogo in ogni progetto.
I condizionamenti spaziali, invece, spesso mi danno idee e suggerimenti per sviluppare le opere.
12) La dimensione del caos cosa riguarda per te: il processo creativo, la percezione della realtà o in generale la cultura?
Il Caos mi aiuta in quello che faccio, è un ingrediente che sfrutto spesso. Ci sono molti lavori in cui la mia conclusione è quasi una totale cancellazione. Fino all’ultimo secondo penso di commettere un errore, poi mi rendo conto che in realtà – usando quel piccolo coraggio in più – ottengo un risultato che mi piace.
13) Cosa è per te l’invisibile?
Nella mia pratica rendo visibile cioè che per gli altri non lo è.
Intervista rilasciata in occasione della mostra
CAOS. L’equilibrio della pittura
ANTONIO DE LUCA | 108 | MATTEO GIUNTINI
ZAION GALLERY Biella
FEBBRAIO – MAGGIO 2021
ART DIRECTOR: Zaira Beretta
TESTO CRITICO E INTERVISTE: Vera Canevazzi e Caterina Frulloni