INTERVISTA A GIULIA MAIORANO
di Vera Canevazzi e Caterina Frulloni
1) Dove vivi, dove hai vissuto e dove vorresti vivere?
Vivo a Milano, città in cui sono nata. Nel 2017 mi sono trasferita a Berlino, dove, per diversi mesi, sono stata assistente di Patrick Tuttofuoco, conosciuto in Naba nella veste di professore.
Vorrei continuare a vivere qui, a Milano, in particolare nella periferia ovest della città che rimane una zona molto verde e tranquilla. Mi piace però anche l’idea di poter passare periodi più o meno lunghi, in altre città europee e non, New York per esempio, resta sempre un po’ il sogno…chissà!
2) Quale è secondo te l’opera d’arte più significativa degli ultimi 20 anni e perché?
Cloud Gate, l’opera di Anish Kapoor nel Millennium Park a Chicago. Una scultura in acciaio lucido, ispirata dalla forma del mercurio liquido. Grazie al materiale riflettente con cui è realizzata, crea degli effetti specchianti che la fanno sembrare quasi senza peso, un luminoso spazio astratto, una porta verso nuove dimensioni. La percezione dello spazio e del tempo è distorta, tutto viene deformato, dalle architetture alle figure dei passanti, diventa anche difficile capire dove finisca la scultura e dove inizi il cielo. Credo che Cloud Gate sia un’opera significativa proprio perché riesce a riflettere, sia letteralmente ciò che la circonda, ma anche perché induce nello spettatore una riflessione spirituale, la ricerca di sé e delle possibili prospettive esistenti.
3) Quali sono secondo te i tre artisti emergenti attualmente più interessanti?
Alice Ronchi, Federico Tosi e il duo Ornaghi e Prestinari.
4) Quali sono i tuoi testi critici di riferimento?
Sicuramente testi critici che riguardano temi legati all’arte e al gioco come “L’attualità del bello” di Gadamer, o “L’educazione estetica dell’uomo” di Schiller o ancora “Estetica relazionale” di Bourriaud.
Poi ho una selezione abbastanza ampia di cataloghi d’arte contemporanea, che ho acquistato nei miei viaggi, principalmente si tratta di monografie di artisti che amo o raccolte dei loro scritti.
5) Dove e come lavori? Hai bisogno di determinate condizioni per entrare nel processo creativo?
Realizzo i miei lavori in studio, che è insieme anche la mia casa, in tutto 33 mq, ma riesco a mantenere un certo ordine, ho dovuto organizzare e sfruttare ogni singolo centimetro a disposizione!
Il processo creativo ha innanzitutto bisogno di uno spazio mentale, come divenire una carta fotografica che si lascia impressionare da ciò che accade intorno. La noia poi, è sicuramente un altro motore determinante, spesso è proprio quando si ha tempo da perdere, che si è più recettivi ed è più facile scivolare nell’immaginazione.
6) Lavori in maniera istintiva o progetti preventivamente le tue opere?
Sono entrambi elementi necessari per fare un buon lavoro, è un dialogo tra osservazione-intuizione e una parte più di ragionamento e concretezza.
Un lavoro senza una di queste due parti, sarebbe come una torre che traballa, in attesa di cadere da un momento all’altro.
7) Che ruolo ha l’invisibile nella tua produzione?
L’invisibile è ciò che si ha sotto il naso ogni giorno ma di cui non ci si accorge perché si è sempre distratti da altro o impegnati in qualcosa.
Per me è diventata come una sfida contro i ritmi di oggi, trovare un momento per estraniarsi, rivolgere la propria attenzione altrove, incantarsi.
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